Il 16 gennaio l'Alta corte amministrativa del Cairo ha definitivamente annullato la cessione all'Arabia Saudita delle isole Tiran e Sanafir, situate all’imboccatura del Mar Rosso, ribadendo "irrevocabilmente" la sovranità egiziana su di esse. La sentenza pone fine, almeno per ora, alla già traballante alleanza tra Riad e il governo del Cairo, congelando il progetto dell’oleodotto che avrebbe dovuto trasportare il petrolio saudita nel Mediterraneo. La conduttura avrebbe dovuto attraversare il Golfo di Suez, giungere a Sharm el Sheikh, nel Sinai meridionale, seguire il percorso del nuovo "Ponte Salman", che avrebbe dovuto collegare le isole fra di loro e alla terra ferma, per giungere infine al terminal saudita di Yanbu, sulla costa occidentale del paese, collegandosi all’oleodotto est-ovest che unisce i terminal petroliferi occidentali sauditi con giacimenti situati nelle provincie orientali di Dammam e al Qatif, sul Golfo Persico. L’opera avrebbe garantito a Riad un accesso diretto ai mercati europei, riducendo quindi la dipendenza dai mercati asiatici e nord americani. Il verdetto della Corte è stato accolto con giubilo da quanti, in Egitto, si sono battuti nei mesi scorsi contro la cessione delle isole ai sauditi. Un movimento di protesta che ha provocato scontri anche duri con la polizia, sfociati in arresti di attivisti e giornalisti. Centinaia di persone che attendevano fuori dell’aula giudiziaria, hanno festeggiato alla notizia della sentenza.
Le conseguenze della sentenza
#Al Sisi potrebbe sfruttare la sua maggioranza per votare accordo con #Riad sulla cessione di due isole nonostante lo stop dell'Alta corte
I nazionalisti egiziani possono essere soddisfatti, ma l’annullamento dell’accordo accresce il divario tra i due paesi, e rischia di porre fine al sostegno finanziario che il regno saudita ha garantito al regime del presidente Abdel Fatah al Sisi, sin dalla sua nascita. Lo scorso ottobre Riad ha già congelato l’accordo per le forniture petrolifere all’Egitto, per punire il governo del Cairo per il sostegno garantito alla proposta russa per por fine alla guerra in Siria, ma anche per l’impasse sulla cessione delle Isole del Mar Rosso. Solo grazie agli aiuti di Arabia saudita, Emirati Arabi e Kuwait, il governo instaurato dai militari dopo la deposizione, nell’estate del 2014, dell’allora presidente Mohammed Morsi, affiliato ai Fratelli Musulmani e sostenuto da Turchia e Qatar, è riuscito a evitare il collasso finanziario. Da allora, il governo di Riad, assieme ai suoi alleati del Golfo, ha garantito all’Egitto finanziamenti per ben 12 miliardi di dollari: 5,7 miliardi dalla sola Arabia Saudita, 4,5 dagli Emirati e 2,7 dal Kuwait. La crisi dei prezzi del petrolio ha spinto il governo di Riad a ridurre notevolmente gli aiuti a tutti i paesi alleati, ma in cambio delle due isole del Mar Rosso, i sauditi avrebbero garantito gli aiuti alla ripresa economica dell’Egitto. Per quanto la cessione delle isole sia impopolare, quindi, il governo del Cairo sembra comunque intenzionato a rovesciare il verdetto dell’Alta corte amministrativa.

Veduta aerea delle isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. L'accordo di cessione delle due isole dall'Egitto all'Arabia saudita, siglato lo scorso aprile dal re saudita Salman bin Abdulaziz e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e ratificato dal governo del Cairo il 29 dicembre 2016 è stato annullato dalla sentenza dell'Alta corte amministrativa del 16 gennaio
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Attivisti egiziani durante una manifestazione di protesta contro la decisione del governo di trasferire all'Arabia saudita la sovranità sulle due isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. Sul cartello si legge ''Le due isole di Tiran e Sanafir sono egiziane''
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La sede della Banca Centrale d'Egitto nel centro del Cairo. Nel novembre scorso la Banca centrale egiziana ha liberalizzato il cambio della sterlina locale, dopo decenni di cambio fisso rispetto al dollaro. Una decisione che ha provocato una fiammata inflazionistica, aggravata dall'interruzione delle forniture petrolifere saudite a prezzo di favore
xLe prossime mosse del Cairo
Al Sisi potrebbe sfruttare la sua maggioranza parlamentare per votare comunque l’accordo con Riad. Come sottolineato in un comunicato diffuso da Daam Misr, il principale gruppo parlamentare fedele al presidente, la decisione finale sull’accordo con l’Arabia Saudita ''spetta comunque ai rappresentanti del popolo''. Nella nota, il partito precisa che la Costituzione ''sancisce la separazione dei poteri e tutte le parti devono rispettarla. La Camera dei rappresentanti (parlamento monocamerale egiziano, ndr) ha il diritto di esprimersi sulla questione senza riguardo per gli altri organismi, e a ratificare gli accordi internazionali. Questo è un diritto cui non si rinuncerà''. Il parlamento, cioè, ''è l’unico organo che ha il diritto di decidere se un accordo è in linea o meno con la Costituzione''. Nel novembre scorso la Banca centrale egiziana ha liberalizzato il cambio della sterlina locale, dopo decenni di cambio fisso rispetto al dollaro. Una decisione che ha provocato una fiammata inflazionistica, aggravata dall’interruzione delle forniture petrolifere saudite a prezzo di favore. L’annullamento dell’accordo mette a rischio anche la realizzazione di un deposito per lo stoccaggio del greggio nella zona di Sidi Kerir, sul Mar Mediterraneo, da parte del colosso saudita Aramco, e quella di un porto per la ricezione del gas naturale liquefatto, del butano e dell’olio combustibile, la cui costruzione era stata annunciata dal ministro del Petrolio egiziano, Tarek al Mulla, poco dopo la firma dell’accordo tra il presidente al Sisi e re Salman.
Il governo di Riad, assieme ai suoi alleati del Golfo, ha garantito all'Egitto finanziamenti per ben 12 miliardi di dollari: 5,7 miliardi dalla sola Arabia Saudita, 4,5 dagli Emirati e 2,7 dal Kuwait